Il diritto di proprietà privata è riconosciuto e protetto dalla legge. La forma di tutela prevista è presidiata dal Codice penale, che prevede lo specifico reato di “violazione di domicilio” nei casi in cui un estraneo si introduca o si trattenga nell’abitazione di un’altra persona contro la volontà di quest’ultima (art. 614 c.p.).
Il reato si concretizza anche se il luogo privato è una pertinenza dell’abitazione stessa, come il box o il giardino.
Ma si può accusare un felino di “violazione di domicilio”?
Ovviamente no, fosse solo perché agli animali non è riconosciuta quella soggettività giuridica che è alla base anche della “capacità giuridica”, necessaria per avere dei doveri (come quello di non entrare nella proprietà altrui).
È però vero che il diritto di godimento esclusivo della proprietà privata deve essere rispettato pienamente e ciò comprende anche la libertà di non dover condividere, nemmeno temporaneamente, i propri spazi con animali che appartengono ad altri.
Ne consegue che, da una parte, un animale di proprietà non può introdursi in un giardino che non sia “suo” se il proprietario di tale luogo non è d’accordo. Quest’ultimo, infatti, ha il diritto di pretendere che ciò non avvenga ed eventualmente anche di vedersi risarcire i danni subiti.
Dall’altra parte, tuttavia, esiste il “diritto dell’animale essere senziente” a soddisfare la propria natura “vagante” e la sua tendenza a scegliere liberamente i confini del territorio di riferimento sul quale spostarsi.
In ogni caso, la responsabilità del comportamento di ogni animale domestico ricade sui proprietari. Ciò vale in particolare se causano danni. Al proprietario dell’animale si richiede, inoltre, di vigilare per impedire che esso entri dove non è ammesso né gradito.