Molti uccelli sia selvatici che domestici possono contrarre ed essere loro stessi veicolo per altri animali, uomo compreso, della Clamidiosi (nota anche come Psittacosi od Ornitosi).
La Chlamydia psittaci è un microrganismo che si comporta da parassita delle cellule dell’animale che ha infettato.
La malattia può restare latente per anni in pappagalli portatori (ma anche canarini, piccioni, fagiani, tacchini etc) oppure causare sintomi aspecifici o molto gravi, come polmonite o vasculiti ad organi importanti come fegato e milza, fino alla morte.
È una zoonosi e nell’uomo causa in genere polmonite interstiziale ma può anche essere manifestata con congiuntivite, emicrania, epatite, mialgia, febbre molto alta.
È importante ad ogni sintomo sospetto ma anche in fase di screening (ad esempio un nuovo acquisto) far eseguire dal medico veterinario di fiducia e, di rimando, dal laboratorio specializzato, test validi e specifici per ricercare questo subdolo microrganismo.
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Quali esami eseguire per la Clamidiosi negli uccelli?
Sostanzialmente esistono due tipi di test specifici per ricercare questa malattia.
Il primo tipo ricerca gli anticorpi prodotti dall’organismo in difesa dal contatto o dall’infezione con la Chlamidia e possono essere eseguiti mediante un prelievo ematico. Vanno sempre valutati tenendo presenti le condizioni cliniche del soggetto (semplice contatto, portatore sano, ammalato), aggiungendo altri esami volti a confermare l’effettiva infezione (radiografie, esami emocromocitometrici, esami biochimici).
L’altro tipo di esami sono invece molto specifici e sensibili e ricercano l’antigene, ovvero il microrganismo o suoi frammenti, in feci (fonti di contaminazione e infezione), sangue (anche se è presente in modo incostante), essudato.
Con questo test biomolecolare (PCR) vengono riconosciuti con precisione i frammenti del microrganismo in esemplari portatori in stadio latente (portatori sani), soggetti eliminatori del microrganismo (e quindi potenzialmente pericolosi diffusori dell’infezione), soggetti ammalati, per la conferma diagnostica.
L’esame non è invasivo: si possono utilizzare campioni di feci raccolte per 3 giorni consecutivi e inviate in pool in un unico contenitore sterile, oppure con tamponi fecali a secco sempre di 3 giorni, tamponi eseguiti su scolo nasale o congiuntivale oppure, soprattutto durante il monitoraggio di soggetti utilizzati per la riproduzione oppure acquistati da poco e senza particolari sintomi, mediante un unico prelievo mediante tampone di congiuntiva, cavo oro-faringeo e cloaca.
Monitoraggio continuo
I soggetti che si sono infettati possono non manifestare subito la malattia ma stress o caduta delle difese immunitarie contribuiscono alla esacerbazione dei sintomi e alla seguente eliminazione nell’ambiente del patogeno.
Un soggetto guarito può infettarsi di nuovo. È quindi importante ripetere ciclicamente l’esame per monitorare in modo corretto la salute degli animali.