dolore animale Archivi - Animali da compagnia - Il portale per i proprietari di pet https://www.animalidacompagnia.it/category/gatto/dolore-animale-gatto/ Thu, 10 Feb 2022 15:27:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.6.2 Una nuova App per misurare il dolore acuto nel gatto https://www.animalidacompagnia.it/una-nuova-app-per-misurare-il-dolore-acuto-nel-gatto/ https://www.animalidacompagnia.it/una-nuova-app-per-misurare-il-dolore-acuto-nel-gatto/#respond Thu, 10 Feb 2022 15:27:37 +0000 https://www.animalidacompagnia.it/?p=48973 Una nuova App, sviluppata presso la Facoltà di Medicina veterinaria canadese di Montréal, permette anche ai proprietari la rapida valutazione del dolore nel gatto.

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Arriva dall’Università canadese di Montréal l’App che permette di misurare, nell’arco di qualche minuto, il dolore nel gatto.

Misurare il dolore nel gatto dalle espressioni facciali

La valutazione del dolore negli animali si basa sull’identificazione dei cambiamenti comportamentali causati dal dolore, inclusi i cambiamenti nelle espressioni facciali.

Nel 2019 il Laboratorio Steagall dell’Università di Montréal aveva già sviluppato un metodo per consentire la valutazione del dolore acuto nei gatti: la Feline grimace scale (FGS).

Per lo sviluppo della FGS l’Università canadese aveva confrontato le immagini di gatti con e senza dolore.

Da queste fotografie sono state individuate cinque caratteristiche espressive che variano con la presenza del dolore:

  • posizione delle orecchie;
  • chiusura degli occhi;
  • tensione del muso;
  • posizione dei baffi;
  • posizione della testa.

Con il metodo FGS, alle diverse espressioni è dato un punteggio in base al grado di dolore che queste esprimono nel gatto.

La somma dei punteggi è poi valutata su una scala (Feline grimace scale) che va da nessun dolore o dolore lieve, a dolore da lieve o moderato, fino a dolore da moderato a grave.

In base ai punteggi della Feline Grimace Scale è possibile quindi determinare la necessità di somministrare analgesici, aiutando così i veterinari nelle decisioni cliniche di gestione del dolore.

Valutare il dolore felino con una nuova App

Ora una nuova App per la valutazione del dolore nel gatto è stata sviluppata presso la Facoltà di Medicina veterinaria del medesimo ateneo canadese.

La creazione è opera del dott. Paulo Steagall, professore di Anestesia veterinaria e terapia del dolore, ed è un’applicazione basata sullo stesso metodo Feline Grimace Scale.

dolore gatto App

L’app FGS consente la valutazione in tempo reale del dolore acuto del paziente.

Inoltre, non solo permette di velocizzare la valutazione in merito al trattamento analgesico, ma offre anche ulteriori raccomandazioni cliniche.

Inoltre, l’App permette anche ai proprietari di scattare una foto del muso del gatto e condividerla con il proprio Medico veterinario sempre tramite l’applicazione.

Questa applicazione è disponibile gratuitamente su Android (scaricabile QUI) e iOS (scaricabile QUI) in tre lingue: francese, inglese e spagnolo.

“Abbiamo creato questa applicazione per analisi rapide, affidabili e di facile utilizzo da parte del pubblico in generale e dei veterinari” – spiega Paulo Steagall.

Siamo entusiasti di avere ora uno strumento affidabile che può essere utilizzato in ambiente domestico per la valutazione del dolore acuto nei gatti”.

 

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Terapie palliative e cure di fine vita in Medicina Veterinaria https://www.animalidacompagnia.it/terapie-palliative-e-cure-di-fine-vita-in-medicina-veterinaria/ https://www.animalidacompagnia.it/terapie-palliative-e-cure-di-fine-vita-in-medicina-veterinaria/#respond Fri, 07 Feb 2020 09:00:33 +0000 https://www.animalidacompagnia.it/?p=39572 Le terapie palliative si occupano in maniera attiva e totale dei pazienti colpiti da una malattia che per la sua natura non risponde più a trattamenti specifici. Esse mirano ad aumentare il comfort e a minimizzare la sofferenza del paziente durante tutte le fasi di una malattia incurabile, trattando il suo disagio fisico e considerando nel contempo le sue necessità sociali ed emozionali.

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Nell’ultimo ventennio la popolazione di animali da compagnia è andata progressivamente aumentando. Cani e gatti risultano sempre più integrati nella vita quotidiana dell’uomo, tanto da venire considerati molto spesso come membri della famiglia.

Di conseguenza, i proprietari stanno iniziando a prestare particolare attenzione ai bisogni fisici dei propri compagni, ma anche ad essere molto più attenti al loro benessere emotivo e sociale, e ad operarsi per assicurare loro le cose di cui hanno bisogno per essere sani e felici, come cibo di buona qualità, ampia stimolazione fisica e mentale, socializzazione adeguata e un’attenta assistenza veterinaria durante tutte le fasi della vita.

La medicina veterinaria ha risposto incoraggiando tale evoluzione e molti medici veterinari hanno iniziato a praticare “cure incentrate sul legame uomo-animale”.

Anche il cane e il gatto provano dolore ed emozioni

Sicuramente, molti dei cambiamenti nel modo in cui le persone oggi si relazionano con gli animali da compagnia sono il risultato di un’evoluzione del pensiero in tema di “coscienza animale”: negli ultimi decenni, infatti, sono stati condotti numerosi studi sulle capacità cognitive ed emozionali degli animali, che ne hanno rivelato intelligenza, sensibilità e socialità, accrescendo l’apprezzamento umano nei loro confronti.

È oramai noto, in effetti, che molte specie animali sono in grado di provare dolore allo stesso modo degli esseri umani e che tutti i mammiferi presentano lo stesso repertorio di emozioni fondamentali e molti degli stessi schemi di attaccamento sociale degli uomini.

Una conseguenza naturale di questo cambiamento di paradigma nel concetto di animale e di relazione uomo-animale è rappresentata dalla crescente attenzione nei confronti del benessere animale, nonché dal fatto che quasi tutte le discussioni su tale argomento e sulla qualità della vita dei pazienti veterinari hanno iniziato a riguardare non solo i loro bisogni fisici ma anche quelli emotivi e sociali.

Ciò si sta gradualmente traducendo, oltre che in una maggior empatia (fino ad una sorta di antropomorfizzazione), in un aumentato senso di responsabilità verso gli animali e nella ricerca di tutto ciò che rappresenta, per loro, una buona cura.

Parallelamente a questa evoluzione del legame uomo-animale, sono stati fatti passi da gigante anche in campo medico, sia in termini di capacità diagnostiche che di approcci terapeutici: ciò ha comportato l’allungamento della vita degli animali e lo sviluppo di una popolazione di pazienti geriatrici e/o con malattie croniche o terminali.

È proprio in questo contesto che ben si inseriscono le terapie palliative e di hospice (o cure di fine vita), due modelli di cura distinti ma strettamente correlati tra loro.

Terapie palliative, volte a minimizzare la sofferenza del paziente

Le terapie palliative si occupano in maniera attiva e totale dei pazienti colpiti da una malattia che per la sua natura non risponde più a trattamenti specifici.

Esse mirano ad aumentare il comfort e a minimizzare la sofferenza del paziente durante tutte le fasi di una malattia incurabile, trattando il suo disagio fisico e considerando nel contempo le sue necessità sociali ed emozionali.

Il controllo del dolore e di altri sintomi conseguenti alla malattia e al decadimento fisico (come nausea, vomito, inappetenza, difficoltà respiratorie, problemi di mobilità e di igiene), ma anche degli aspetti psicologici (ansia, paura, depressione) e sociali (relazionali), rappresenta lo scopo di questa particolare forma di terapia.

Nel contesto di tali cure, viene data gran voce ai proprietari circa le priorità in termini di obiettivi da raggiungere e di terapie da scegliere ed applicare in questa delicata condizione, anche supportandone il disagio emotivo derivante da determinate scelte.

Cure di fine vita, un’estensione delle cure palliative

Quando le cure palliative sono rivolte a pazienti terminali, ovvero prossimi alla morte, si parla più propriamente di hospice (o cure di fine vita).

L’hospice è dunque un’estensione delle cure palliative, in cui, stante l’imminenza della morte (che viene considerata come un evento naturale), si attribuisce prioritaria importanza al sollievo dei sintomi (in particolare dolore e difficoltà respiratorie), in modo da minimizzare la sofferenza dell’animale negli ultimi momenti della sua vita e durante la morte, fornendo nel contempo un valido supporto tecnico e morale anche alla sua “famiglia” durante e dopo la delicata fase del trapasso.

Le terapie palliative e di hospice comprendono dunque interventi multidisciplinari che, pur non portando alla guarigione rispetto ad una data malattia, si prendono cura dei bisogni fisici, emotivi e sociali del paziente nella loro globalità, aiutando l’animale a vivere e a morire senza sofferenza, possibilmente nel calore della propria casa, circondato dagli affetti familiari, rendendo gli ultimi anni, mesi, settimane, giorni di vita il più piacevoli possibile.

Terapie palliative e cure di fine vita: azione sinergica tra veterinario e proprietario

Tali cure vedono il veterinario e il proprietario lavorare insieme, in un’ottica di collaborazione e di fiducia reciproca: il Medico Veterinario ha, infatti, il compito di aiutare il proprietario a capire il processo della malattia e a prendere le decisioni mediche più appropriate, indirizzandosi al contempo anche ai suoi bisogni emozionali, sociali e spirituali sia durante il progredire della patologia, che in preparazione della morte dell’animale (che può avvenire naturalmente o a seguito di eutanasia) e nella successiva fase del lutto (che rappresenta una normale conseguenza della perdita di un compagno di vita amato).

Questo nuovo approccio possiede una grande componente psicosociale: gli aspetti medico-infermieristici sono la base da cui partire, intorno alla quale costruire tutto il protocollo di cure, e non il punto di arrivo.

In questo contesto, il ruolo del Medico Veterinario, così come quello del proprietario dell’animale, si evolve, diventa più elastico e denso di significato, ancora più centrale ed importante: iniziativa e leadership, cura e compassione, onestà e integrità, tutte queste e molte altre sono le componenti necessarie per fornire cure ad un animale inserito in un programma di cure palliative.

Un fenomeno relativamente recente

Sebbene i veterinari abbiano conoscenze relative agli elementi fondamentali delle terapie palliative e di hospice, il loro riconoscimento come area ben distinta della medicina veterinaria è un fenomeno relativamente recente, tanto da godere ancora di un’attenzione limitata nell’ambito della letteratura e, purtroppo, della pratica clinica.

Fino a poco tempo fa erano infatti disponibili pochissime informazioni su come applicare tali tipi di cure nella professione veterinaria, anche se alcuni veterinari adottano, talvolta inconsapevolmente, i principi di queste discipline da decenni.

Tuttavia, allo stato attuale, seguendo le orme della medicina umana, in cui le cure palliative e di hospice stanno entrando di diritto tra le buone pratiche mediche (pur non rappresentando ancora una vera e propria disciplina), e grazie anche alla disponibilità recente di specifiche informazioni che si traducono in apposite linee guida, pure in medicina veterinaria si inizia ad applicare questa particolare modalità di cure: cominciano, infatti, ad essere molti i veterinari che, sensibilizzati e informati sull’argomento, offrono ai propri pazienti e ai loro proprietari questo tipo di terapie, che vedono alla loro base un approccio molto più empatico e profondo che va al di là di una “semplice” diagnosi e applicazione del relativo protocollo terapeutico.

Quando si ha un animale anziano e/o con malattie croniche o terminali (es. insufficienza renale cronica, insufficienza cardiaca congestizia, osteoartrosi avanzata e debilitante, tumori non risolvibili chirurgicamente, patologie neurologiche, patologie dei dischi intervertebrali, ecc.), è quindi più che lecito richiedere al proprio Medico Veterinario di fiducia che sia definito e applicato un protocollo di cure palliative, nell’ottica di offrire al proprio amato compagno una vita priva di sofferenza e degna di essere vissuta.

 

* Testo tratto dal libro di testo “Terapie palliative e cure di fine vita in medicina veterinaria” di Giorgia della Rocca e Maria Beatrice Conti, edito da Poletto Editore, Vermezzo (MI), (2018).

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Segni di dolore nel cane e nel gatto – I^ parte https://www.animalidacompagnia.it/dolore-nel-cane-e-nel-gatto/ https://www.animalidacompagnia.it/dolore-nel-cane-e-nel-gatto/#respond Mon, 21 May 2018 08:52:14 +0000 https://www.animalidacompagnia.it/?p=29168 E’ anche stato stabilito che, nell’uomo e negli animali, nocicettori e fibre nervose sono virtualmente identici. A seguito di tali acquisizioni è possibile asserire che anche gli animali sono in grado di percepire il dolore a livello cosciente e non solo come stimolo riflesso: stimoli dolorosi per l’uomo lo sono dunque anche per gli animali e il luogo comune che gli animali percepiscano il dolore in minor misura rispetto all’uomo è pertanto da considerare obsoleto.

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L’esperienza del dolore si compendia di tre componenti: 1) la nocicezione, che consiste nell’attivazione di specifici recettori (nocicettori) da parte di stimoli nocivi (trasduzione) e nella progressione dello stimolo afferente lungo fibre nervose che lo convogliano al midollo spinale e poi ai centri soprasegmentali (trasmissione); 2) la processazione e l’interpretazione di tali segnali entranti dalla corteccia cerebrale (integrazione), che dà luogo alla percezione cosciente del dolore e alle conseguenti risposte emozionali; 3) le variazioni psicomotorie in risposta al dolore.

Con il progredire delle conoscenze scientifiche è stato appurato che tutti gli animali, dai molluschi agli uccelli, dai rettili ai mammiferi, posseggono le componenti neuroanatomiche e neurofisiologiche necessarie per la trasduzione, la trasmissione e la percezione degli stimoli nocivi.

È anche stato stabilito che, nell’uomo e negli animali, nocicettori e fibre nervose sono virtualmente identici.

A seguito di tali acquisizioni è possibile asserire che anche gli animali sono in grado di percepire il dolore a livello cosciente e non solo come stimolo riflesso: stimoli dolorosi per l’uomo lo sono dunque anche per gli animali e il luogo comune che gli animali percepiscano il dolore in minor misura rispetto all’uomo è pertanto da considerare obsoleto.

La differenza tra esseri umani ed animali sta esclusivamente nella capacità di palesare la presenza di dolore: l’uomo può, con alcune eccezioni (neonati e bambini piccoli, soggetti in coma o con disfunzioni fisiche o cognitive che non consentono loro di verbalizzare), testimoniare attraverso le parole il proprio disagio, potendo descrivere in maniera diretta più o meno precisamente i caratteri (intensità, localizzazione, durata, ecc.) del dolore percepito, mentre gli animali, esseri non verbalizzanti, devono necessariamente affidare ad una serie di segni e di atteggiamenti, non sempre univoci, l’espressione del loro malessere.

Proprietari e veterinari devono dunque essere in grado di riconoscere la presenza di tali segni, distinguendo peraltro quelli appannaggio del dolore acuto da quelli associati a dolore persistente, in modo da potere, i primi, rendersi conto tempestivamente dell’eventuale disagio provato dai loro beniamini e prendere gli adeguati provvedimenti, e i secondi compiere una corretta diagnosi di dolore ed intraprendere un trattamento mirato ed efficace.

Per fare ciò, bisogna essere a conoscenza delle principali caratteristiche etologiche di specie (dal momento che in presenza di dolore ogni animale adotta degli atteggiamenti peculiari che fanno parte del repertorio comportamentale della specie a cui appartiene) e avere bene in mente quali siano quei segni che, più o meno inequivocabilmente, possono essere associati ad una condizione algica.

Va peraltro ricordato che, poiché il dolore è un’esperienza complessa e comprendente una forte componente soggettiva ed emozionale, qualora venga mostrato ciò avviene in maniera fortemente individuale.

Pertanto, quando si vogliano ricercare i segni di dolore in un animale, bisogna tener presente che:

  • ogni animale vive e mostra il suo dolore in un modo unico;
  • l’assenza di un comportamento collegato al dolore non è necessariamente indice di assenza di dolore;
  • viceversa, l’assenza di comportamenti normali è spesso correlata alla presenza di dolore;
  • i comportamenti tenuti a casa possono differire sensibilmente da quelli messi in atto in ambienti non noti (e in questo caso un ruolo determinante nella individuazione di segni algici è giocato dal proprietario);
  • sia i comportamenti interattivi che quelli non provocati (non interattivi) risultano estremamente utili per la valutazione;
  • gli atteggiamenti algici mostrati da un individuo dipendono da molti fattori, che includono specie, razza, età, personalità e severità, tipo e durata del dolore. Relativamente a quest’ultimo punto, va ribadito che le risposte degli animali al dolore possono essere estremamente variabili e contraddittorie, essendo soggette, oltre che a notevoli variazioni specie-specifiche, anche e soprattutto a variazioni individuali. Infatti, numerosi fattori possono condizionare i comportamenti che l’animale manifesta in presenza di uno stato algico: tra questi vanno menzionati parametri oggettivi, quali razza ed età dell’animale (es. soggetti appartenenti a razze caratterialmente ansiose e/o giovani risultano più emotivamente coinvolti dallo stato doloroso), e parametri soggettivi, quali indole ed emotività del soggetto, interazioni ambientali e sociali, esperienze pregresse.

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Il Dolore Animale https://www.animalidacompagnia.it/il-dolore-animale/ https://www.animalidacompagnia.it/il-dolore-animale/#respond Fri, 09 Mar 2018 11:07:12 +0000 https://www.animalidacompagnia.it/?p=10197 Finalmente, da qualche decennio, nel mondo medico si sta cominciando a parlare di dolore non più solo come sintomo conseguente ad una patologia, ma anche in termini di vera e propria patologia a sé stante (il così detto “dolore-malattia”), svincolata da una causa primaria che lo ha provocato, e come tale oggetto di una diagnosi e di una terapia mirata.

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Se ne è cominciato a parlare prima in medicina umana e, con la nascita degli “ospedali senza dolore” e di centri specialistici per la cura del dolore, si è sancita l’esistenza di una nuova disciplina per molto tempo poco (se non per nulla) considerata: l’algologia.

Negli ultimi anni, con la presa di coscienza da parte della comunità scientifica che gli animali, possedendo tutte le componenti neuroanatomiche e neurofisiologiche necessarie all’elaborazione di uno stimolo algico, possono, al pari dell’uomo, percepire il dolore a livello cosciente e non solo come stimolo riflesso, il dolore è stato incluso tra i principali segni vitali (polso, respiro, temperatura, dolore) e menzionato tra le 5 libertà elencate nel Brambell Report per la tutela del benessere animale (libertà dalla sete, dalla fame e dalla cattiva nutrizione, libertà dai disagi ambientali, libertà dal dolore, dalle ferite e dalle malattie, libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche, libertà dalla paura e dallo stress).

Ma perché parlare di dolore animale? Perché dare tanta importanza alla sua identificazione, alla diagnosi della causa che ne determina l’origine, ai processi fisiopatologici che ne condizionano lo sviluppo (in termini di entità, localizzazione e soprattutto tipo) e, soprattutto, alla sua terapia?

In caso di dolore acuto particolarmente severo, quale quello che può fare seguito, in assenza di una opportuna terapia analgesica, ad un intervento chirurgico invasivo, ad un trauma importante, ad una patologia infiammatoria estesa, l’organismo risponde con una complessa sequela di eventi che può esitare in una seria alterazione della funzionalità di numerosi organi e apparati (cardiocircolatorio, respiratorio, digerente, muscolare, nervoso, ormonale e immunitario), con importanti ripercussioni sulla possibilità/velocità di guarigione dell’animale e che possono portare, nei casi più gravi, anche alla morte del soggetto.

Oltre alle problematiche citate, responsabili dell’insorgenza di dolore acuto, ve ne sono altre, come ad esempio patologie croniche quali osteoartrosi, tumori, lesioni nervose, che possono dare origine ad un dolore persistente, ovvero non suscettibile di risolversi con la guarigione del danno (trattandosi di una patologia cronica, non è possibile la sua risoluzione).

Il dolore persistente in genere non raggiunge la severità che può talvolta caratterizzare quello acuto, non avendo di conseguenza quell’impatto negativo sui vari organi e apparati di cui si è accennato precedentemente.

Tuttavia, un dolore persistente si ripercuote in maniera importante sul benessere dell’animale e sulla sua qualità della vita, dal momento che si rende responsabile di disturbi dell’appetito (l’animale mangia più svogliatamente), perdita di peso (che fa seguito al ridotto introito di cibo e acqua), disturbi del sonno (l’animale si sveglia spesso durante la notte, passeggia per la casa, si lamenta), riduzione o assenza di attività e ridotto interesse per l’ambiente circostante (non ama più giocare, fare passeggiate, interagire con i proprietari o con gli altri animali della casa), stipsi (per ridotta attività fisica), fino anche a disturbi dell’umore (quali aggressività o, più frequentemente, depressione).

È importante, inoltre, sapere che il dolore, quando non trattato adeguatamente, può comportare l’instaurarsi di modificazioni sia funzionali che morfologiche di quella parte di sistema nervoso preposta alla processazione degli stimoli dolorifici; queste modificazioni fanno si che tale sistema si attivi anche in seguito a stimoli dolorosi lievi o addirittura innocui (si pensi a quanto fa male se si urta, o in certi casi semplicemente si sfiora, una parte del corpo dove c’è una lesione).

Se solitamente con la guarigione del danno tali modificazioni tendono a regredire fino a scomparire, con conseguente cessazione del dolore, in alcuni casi possono invece risultare irreversibili, comportando la perdita di quelle caratteristiche di transitorietà e di autolimitazione che normalmente caratterizzano un dolore acuto di moderata intensità.

In altre parole, può avvenire che un insulto algico di una certa entità e/o persistenza comporti l’instaurarsi di variazioni a lungo termine a carico del sistema nervoso periferico e centrale.

Queste modificazioni sanciscono il passaggio del dolore da adattativo (con finalità protettive) a maladattativo (privo di qualsiasi funzione biologica, debilitante e responsabile di un impatto significativo sulla qualità della vita del paziente).

Se si cessa quindi di considerare il dolore semplicemente come un sintomo e si riflette sulle conseguenze cliniche che esso può determinare, sia in termini di ripercussioni immediate su vari sistemi e apparati dell’organismo, che di modificazioni plastiche a carico del sistema nervoso che si possono rendere responsabili non solo di un aumento della sensibilità agli stimoli dolorifici da parte del sistema nervoso, ma anche della sua eventuale cronicizzazione, si comprende perché sia così importante, in alcuni casi, attribuire al dolore la connotazione di una patologia vera e propria, che come tale necessità di una tempestiva diagnosi e di un opportuno trattamento.

Mettere in atto una terapia antalgica diventa dunque un imperativo non solo etico e morale, ma anche clinico, dal momento che così facendo si riducono i tempi di ricovero, si evita l’insorgenza di eventuali complicazioni, si affretta la guarigione dell’animale e si evita la cronicizzazione del dolore (che diventa meno facilmente responsivo ai trattamenti).

Dal momento che gli animali non sono in grado di dirci se, dove e quanto hanno male, è molto importante saper identificare quei segni, caratterizzati da tutta una serie di modificazioni psicomotorie e di particolari espressioni, che possono accompagnarsi alla presenza di dolore.

Sta dunque al Medico veterinario, ma anche (e talvolta soprattutto) al proprietario, che può controllare il proprio animale nel suo ambiente di vita, evidenziare tempestivamente la presenza di tali segni, in modo da poter garantire la messa in atto di un’altrettanto tempestiva terapia antalgica.

Quasi tutto quello che può essere fatto nell’uomo, in termini di strategie per il controllo del dolore e della sofferenza, può essere attuato anche nei nostri animali.

La scelta del protocollo terapeutico, comprendente farmaci analgesici ed eventuali terapie complementari non farmacologiche, spetta sempre al Medico veterinario e va fatta sulla base del tipo, dell’intensità e della durata del dolore presente.

Una buona comunicazione tra Medico veterinario e proprietario può favorire e rapidizzare tutto il processo diagnostico e terapeutico, a tutto vantaggio del benessere dell’animale e della sua qualità di vita.

A cura della Prof.ssa Giorgia Della Rocca

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