La coprofagia, strategia del pet per attirare l’attenzione del proprietario?

Ai giorni d’oggi sono sempre di più i cani e i gatti affetti da disturbi alimentari, che spesso si configurano come problematiche comportamentali.

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la coprofagia
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Qualsiasi cambiamento nel sistema famigliare in cui è inserito il pet può determinare nell’animale un malessere tale da esitare in diverse forme di patologia, molto spesso in un vero e proprio disturbo alimentare.

Tra questi, l’anoressia, la bulimia, la pica e la coprofagia sono particolarmente presenti, e sono spesso indice di un disturbo dell’umore.

La coprofagia deriva dalla parola greca “κοπροϕaγος”

Composta da“κoπρος” che vuol dire“sterco” e da “ϕαγος” che deriva dal verbo greco “φαγεiν” che vuol dire “mangiare”, la coprofagia indica quindi l’ingestione delle proprie feci o di quelle di altri animali.

Si tratta di un disturbo alimentare, particolarmente presente nei cuccioli e nei cani di giovane età, che il più delle volte scaturisce se non da problemi di natura organica, da un comportamento non corretto da parte del proprietario.

Frequente in soggetti che vivono in ambienti poco stimolanti

Anche se non sempre è così, la coprofagia determina il più delle volte una reazione fastidiosa da parte del proprietario. Talora, può essere associata ad anoressia o a bulimia.

Escludendo le cause organiche, questo fenomeno rappresenta una tecnica messa in atto dall’animale per richiamare l’attenzione del proprietario, e generalmente è riferibile al suo stato ansioso che già manifesta rifiutando il cibo o mangiando eccessivamente.

Spesso, questo comportamento si riscontra in soggetti che hanno vissuto per lunghi periodi in un canile o che vivono in ambienti ipostimolanti.

È fondamentale portare il pet dal medico veterinario, per effettuare una visita comportamentale, tutte le volte in cui è presente un disturbo alimentare in un animale, come può essere la coprofagia.

Scoprire quale sia il meccanismo che lo ha spinto ad agire in quel modo, è fondamentale per risolvere il problema.

FONTE: LaSettimanaVeterinaria

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